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Home ACQUA bene comune Di chi è l'ACQUA?
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Scritto da Marco Manunta   
Venerdì 13 Marzo 2009 21:13
Indice articolo
Di chi è l'ACQUA?
- Breve cronistoria
- Una vittoria della democrazia dal basso
Tutte le pagine
DI CHI E’ L’ACQUA?
LA VICENDA DEL REFERENDUM SULLA LEGGE REGIONALE LOMBARDA sui servizi idrici

Nel febbraio 2009, dopo una serrata trattativa con la Giunta della Regione Lombardia, i sindaci promotori del referendum sulla legge regionale di disciplina dei servizi pubblici locali e i movimenti per la difesa dell’acqua come bene comune hanno annunciato di aver ottenuto un’importante vittoria.
Di che cosa si tratta?

Anche in questa occasione, salvo rarissime eccezioni, i mezzi di informazione tradizionali, nazionali e locali, si sono distinti per la loro completa latitanza, continuando nella costante pratica di disinformazione o non informazione dell’opinione pubblica in tema di servizi pubblici locali e manifestando la loro contiguità al potere politico e agli interessi economici forti.

 


Breve cronistoria
La vicenda muove dalle leggi regionali sui servizi pubblici locali approvate dal Consiglio regionale della Lombardia nel 2003 (legge n.26) e nel 2006 (legge n.18).
La disciplina che ne risultava aveva creato forti dissensi tra i movimenti per l’acqua e molti amministratori locali di tutti gli schieramenti politici.
144 Consigli Comunali delle 11 province della Lombardia hanno, così, deliberato di proporre un referendum abrogativo delle due leggi regionali, in particolare, relativamente alle disposizioni che prevedevano:

1. la possibile partecipazione dei privati al capitale delle società (c.d. società patrimoniali) proprietarie delle reti e degli impianti, destinati a garantire il servizio idrico;
2. l’obbligatorietà della separazione della erogazione del servizio dalla gestione di reti ed impianti;
3. l’obbligatorietà dell’affidamento della erogazione del servizio tramite gara ad evidenza pubblica, escludendo ogni altra modalità e quindi procedendo alla privatizzazione.

Tradotto in termini più accessibili per i non addetti ai lavori, l’impianto delle leggi lombarde giungeva a rendere obbligatoria l’artificiosa frammentazione di un servizio per sua natura unitario: conservando la proprietà pubblica (demaniale) dei corpi idrici, oltre alla distinzione fra proprietà e gestione di reti e impianti, imponeva addirittura la distinzione e la separazione fra gestione delle reti ed erogazione del servizio.
Con l’aberrante risultato che fra l’acqua e i cittadini dovevano necessariamente interporsi ben quattro diversi soggetti, con conseguente moltiplicazione dei costi:

1) l’ente pubblico (Stato o regione) titolare della proprietà demaniale sulle risorse idriche;
2) una società di capitali (solitamente una s.p.a.) di diritto privato, anche se controllata dai comuni, proprietaria delle reti e degli impianti;
3) un’ulteriore società (pubblica, privata o mista pubblico-privata), incaricata della gestione delle reti;
4) un’ultima società privata incaricata dell’erogazione del servizio.

 

Per approfondimenti sui tipi di affidamento e di gestione del servizio, tra le pubblicazioni in catalogo su questo stesso sito, vedi: Marco Manunta, Fuori i mercanti dall’acqua, MC Editrice, Milano 2001; AA.VV., Ripubblicizzare l’acqua – Leggi e pratiche di democrazia da Nord a Sud del mondo, MC Editrice, Milano 2005.

 


Una vittoria della democrazia dal basso
Nell’arco di sei mesi dalla prima delibera propositiva del referendum, adottata dal comune “capofila” di Cologno Monzese, aderivano all’iniziativa altri 143 Consigli comunali, costituiti da maggioranze contrapposte, il più delle volte con espressione di voto unanime.
L’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale, istituzionalmente chiamato ad esprimersi sulla ammissibilità dei quesiti referendari, non avendo raggiunto l’unanimità, ha rimesso la decisione al Consiglio Regionale.
Nel tentativo di rinviare tale decisione, nel corso degli ultimi mesi del 2007 e nelle prime settimane del 2008 la votazione subiva ben quattro rinvii.
Per sollecitare la discussione della proposta abrogativa i Comuni referendari sono dovuti ricorrere all’organizzazione di un  presidio davanti alla Regione per denunciare i continui rinvii.
Ottanta Sindaci con fasce tricolori e delegazioni dei consigli comunali e oltre cento cittadini si sono radunati davanti la sede della Regione Lombardia in occasione della seduta del Consiglio Regionale del 29 gennaio 2008.
Dopo questa manifestazione pubblica, il 5 febbraio del 2008, il Consiglio Regionale poneva in discussione e deliberava l’ammissibilità dei quesiti referendari con 34 voti a favore - molti più  dei Consiglieri Regionali di minoranza - 25 astensioni e nessuno contrario.
La convinta adesione all’iniziativa referendaria da parte di tutti gli schieramenti politici, compreso quello di maggioranza in Consiglio regionale, e la dichiarazione di ammissibilità della consultazione popolare ha posto la Giunta Formigoni in serio imbarazzo: la pericolosa spaccatura fra amministratori locali degli stessi partiti di maggioranza non poteva manifestarsi troppo apertamente sul territorio, soprattutto per effetto della campagna elettorale in vista della consultazione referendaria.
Si è, quindi, aperta una difficile trattativa fra la Giunta e il Comitato dei referendari, con numerosi incontri, a vari livelli, protrattisi nell’arco di sei mesi.
Grazie all’impegno tenace dell’assessore Cocciro del Comune di Cologno Monzese,  al costante supporto politico e tecnico del Comitato Italiano per il Contratto sull’acqua e all’appoggio del Comitato Milanese Acqua, la Giunta regionale accoglieva le istanze dei referendari, modificando il progetto di legge di riforma della disciplina sui servizi idrici.
Si tratta, indubbiamente, di un’importante vittoria, perché rende ancora possibile preservare la gestione interamente in mani pubbliche e scongiura il pericolo della generalizzata privatizzazione. Privatizzazione che può essere disposta con grande facilità, ma che, una volta realizzata, non consente praticamente ripensamenti.
La modifica della legge è, quindi, quanto si poteva ottenere con gli strumenti a disposizione.
Certo, come abbiamo più volte ricordato, non risolve i problemi di fondo di un sistema che, anche per i servizi gestiti dagli enti locali, impone di fare ricorso a società di capitali di diritto privato (sia pure interamente controllate dai Comuni).
Inoltre, se i Comuni di un ambito territoriale non si mettono d’accordo per la gestione pubblica e non costituiscono la società apposita, riprendono vigore gli obblighi di separazione dell’erogazione del servizio e di privatizzazione mediante gara.
E', quindi, più che mai necessaria la mobilitazione di amministratori locali e cittadini perché la gestione in mani interamente pubbliche sia difesa.

Marco Manunta



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