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Libri del mese

 

Sentieri himalayani

Sette racconti di viaggio ed altrettanti itinerari in una delle regioni più suggestive e sacre del pianeta, con una guida d’eccezione come Jacques Vigne. Medico psichiatra, ricercatore, maestro di meditazione, per la prima volta, e per il pubblico italiano, raccoglie in un libro le sue esperienze di viaggiatore e di guida sui sentieri himalayani.

 

Una gioia di nonsense

Perché abbiamo bisogno del comico e dell’assurdo? Da dove viene l’interesse per una forma poetica così poco convenzionale come il nonsense? Andare oltre il pensiero razionale, accogliere il senso nudo dell’esistenza ha un effetto liberatorio, salvifico, persino gioioso.

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MC Editrice - Articoli
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La giornata mondiale dell’acqua e il dissesto idrogeologico del territorio italiano PDF Stampa E-mail
Articoli
Scritto da MC Editrice   
Domenica 28 Maggio 2023 19:04

La giornata mondiale dell’acqua e il dissesto idrogeologico del territorio italiano

di Marco Manunta, articolo pubblicato su Questione Giustizia del 12 aprile 2023

https://www.questionegiustizia.it/articolo/giornata-acqua-dissesto

 

Sommario

1.                Acqua e dissesto idrogeologico dimenticato

2.                La difesa del suolo e delle acque: sistema normativo e amministrativo di controllo e intervento

3.                Gli stanziamenti ordinari e del PNRR: l’insufficienza

4.                Le risorse mancano davvero?

5.                Gli stanziamenti per gli aiuti alle famiglie e alle imprese per il caro-energia

6.                Le spese in armamenti

7.                I costi pagati agli speculatori della pandemia

8.                Il ponte sullo Stretto di Messina

9.                Le spese per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina e i contributi per lo sci in Lombardia

10.            Ristabilire l’ordine delle priorità

 

 

 
Finché c’è guerra… La legge sull’export delle armi PDF Stampa E-mail
Articoli
Scritto da MC Editrice   
Lunedì 20 Febbraio 2023 12:46

Finché c’è guerra… La legge sull’export delle armi

 

La guerra è la fiera campionaria delle multinazionali

Ilaria Alpi

 

Ucraina, Siria, Yemen, Libia, Iraq, Palestina, Etiopia, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Kurdistan, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Camerun, Burkina Faso, Sahel, Mali, Costa d’Avorio, Niger, Nigeria, Mozambico, Sahara Occidentale, Afghanistan, Colombia... Come ripete Papa Francesco, come ricordano gli organizzatori della Marcia Perugia-Assisi, la guerra è dappertutto e la facciamo anche contro i poveri, il clima, le donne, i rifugiati...

Non è vero che non possiamo fare niente di diverso da quello che stiamo facendo.

Non è vero che non ci sono alternative alla guerra.

Non è vero che non c’è spazio per il negoziato politico.

Innanzitutto, ci dice Tenzin Palmo, una delle più importanti insegnanti buddhiste occidentali, in una recente intervista, occorre avere chiaro che “i politici, i militari, i produttori di armi e le altre aziende implicate guadagnano immense fortune ogni volta che scoppia una guerra; si arricchiscono enormemente grazie alla morte e alla devastazione causate da ciò che commerciano.  Ma a loro non importa: più morti ci sono, più si conferma l’efficacia delle loro armi e più ne venderanno. Distorcono la verità a loro beneficio, fanno circolare menzogne, come sempre succede. Non dobbiamo credere alla propaganda, anzi, teniamo il cuore aperto!”

E allora chiediamoci, con gli organizzatori della Perugia-Assisi: quali altre armi siamo disponibili a inviare? Per quanto tempo ancora? Quale strategia politica e militare sta guidando i nostri invii di armi? Le armi che inviamo, infatti, non bastano mai. Siamo arrivati ai carri armati, ma gli ucraini già chiedono i cacciabombardieri, i missili a lungo raggio...

Dal 1990 c’è una legge in Italia, la n.185, che vieta l’esportazione di armi verso i Paesi in stato di conflitto armato, richiamando l’art.11 della nostra Costituzione che afferma che l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Ma questo non basta.

I limiti della legge che vieta l’export di armi

La legge 185 è un testo normativo importante, che pone principi e obiettivi in linea con il dettato costituzionale e chi aspira alla pace si trova in sintonia con alcuni punti fermi previsti, tra questi il divieto di esportazione di armi verso paesi in guerra.

 

Come si concilia con questo divieto l’invio di armamenti, in particolare, ai Paesi del Golfo, Arabia Saudita e Emirati Arabi (armi usate contro lo Yemen), e poi all’Ucraina? Il Governo Draghi prima e il Governo Meloni, poi, hanno deliberato generosi invii. Come è stato possibile? Chi decide sulla questione?

Chi aspira alla pace si trova in sintonia con i punti fermi della legge:

-        esportazione, importazione e transito degli armamenti devono essere in linea con la politica estera e di difesa dell’Italia (articolo 1) e, comunque, in sintonia con il principio enunciato dall’art.11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”;

-        tutte le operazioni che riguardano gli armamenti, compreso anche il semplice transito sul territorio nazionale o la cessione delle licenze di produzione, sono soggette ad autorizzazione e a controlli da parte dello Stato (articolo 1.2);

-        il Governo deve assumere “misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa” (articolo 1.3);

-        sono inderogabilmente vietate la fabbricazione, l'importazione, l'esportazione ed il transito di armi biologiche, chimiche e nucleari, nonché la ricerca preordinata alla loro produzione o la cessione della relativa tecnologia (articolo 1.7).

La legge pone anche altri importanti limiti al traffico di armi. In particolare l’articolo 1.6 A) vieta l’esportazione e il transito di materiali di armamento “verso i paesi in stato di conflitto armato”.

Sulla conversione a fini civili ricordiamo, però, che nei primi anni ‘90 e nonostante la L. 185 fosse già in vigore, in Italia la produzione di mine antiuomo, che uccidevano o mutilavano le persone, fu fermata non dal governo, ma dalle stesse operaie impiegate nella Valsella Meccanotecnica di Castenedolo (Bs): dopo aver ascoltato i racconti di Gino Strada sui terribili effetti causati dagli ordigni, le 300 operaie addette si rifiutarono di proseguire nella produzione. La vicenda è riassunta in un articolo del Manifesto, firmato da Dino Greco e pubblicato il 15 agosto 2021 (https://ilmanifesto.it/un-pugno-di-operaie-di-un-piccolo-paese-fermo-le-mine).

Anche grazie a questa coraggiosa mobilitazione, una legge ha finalmente formalizzato il divieto di fabbricazione di mine antiuomo in Italia.

La storia delle perverse tecnologie militari ci ricorda che oltre 35000 persone in Cambogia sono morte o hanno subito gravi mutilazioni a causa delle mine antiuomo e che la strage si è protratta per molti anni dopo la fine della Seconda Guerra d'Indocina (combattuta negli anni dal 1946 al 1954 fra l'esercito coloniale francese e il movimento Viet Minh, guidato da Ho Chi Minh). Molte altre vittime, in numero imprecisato, ma sempre per gli stessi ordigni, sono state causate anche in Mozambico, Afghanistan, Angola, Cecenia, Kurdistan iracheno ed ex-Iugoslavia.

Quanto al divieto assoluto di ogni traffico e transito di armi nucleari (oltre a quelle biologiche e chimiche) ricordiamo tristemente che il nostro territorio nazionale “ospita” ordigni di tal genere nelle basi militari degli Stati Uniti: oltre a trasformare i luoghi in obiettivi militari designati, la presenza di armi nucleari è in palese e inammissibile contrasto con il divieto che l’Italia ha legislativamente posto: evidentemente siamo un paese in parte “suddito”.

Altro punto spinoso è quello dell’esportazione di armi verso paesi in guerra.

Anche qui la legge 185 ha posto un divieto, assolutamente conforme al dettato costituzionale dell’articolo 11: se l’Italia ripudia la guerra come metodo di risoluzione di controversie internazionali non può certo alimentare la guerra sia pure tra Stati terzi. Ma come sappiamo il Governo Draghi senza esitazione ha approvato l’invio di armi a sostegno dell’Ucraina e il Governo Meloni si è posto in perfetta continuità.

In effetti, la legge 185, pur vietando di rifornire di armi i paesi belligeranti (senza distinzione tra aggressori e aggrediti) prevede, però, deroghe sia in caso di “obblighi internazionali dell’Italia” (come nel caso di interventi, autorizzati dall’ONU, a fini di interposizione fra belligeranti), sia in caso di “diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere”. E’ quest’ultimo il caso relativo alla guerra russo-ucraina.

Certo la legge prevede la deroga al divieto, ma pone una condizione di pubblicità e trasparenza, richiedendo il parere preventivo del Parlamento con il conseguente dibattito pubblico. Come sappiamo entrambe le Camere si sono espresse a larga maggioranza in favore del sostegno armato a favore di uno dei belligeranti e i due governi successivi (Draghi e Meloni) hanno ricevuto il via libera.

Dal punto di vista strettamente giuridico appare tutto regolare. Rimane, però, insuperato il nodo del contrasto netto fra l’opinione pubblica italiana, in misura preponderante contraria all’invio di armi, e i suoi rappresentanti in Parlamento.

Nei rapporti con altri Stati e in altre occasioni i nostri governi, salvo lodevoli eccezioni, si sono mossi disinvoltamente rispetto ad altri divieti posti dalla legge 185. In particolare, rispetto alle esportazioni verso paesi i cui governi erano e sono responsabili di accertate violazioni dei diritti umani (articolo 1.6 D) e rispetto all’ulteriore divieto di esportazione, che scatta “quando manchino adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali”. Il secondo Governo Conte aveva disposto in proposito il blocco delle esportazioni verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti delle bombe prodotte a Domusnovas, nel Sud Sardegna, dalla RWM (controllata dalla tedesca Rheinmetall), ma nel luglio 2021, con il sostanziale beneplacito del Governo Draghi, l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (UAMA) ha rimosso la clausola che condizionava l’esportazione verso i due paesi del Golfo alla presenza di un end-user certificate, cioè della garanzia di un impegno di tali paesi a non usare gli ordigni acquistati dall’Italia nel conflitto in Yemen. Infatti, negli anni precedenti, parti di bombe esplose in territorio yemenita avevano rivelato inequivocabilmente la provenienza e la fabbricazione da parte della RWM. Inutile ricordare le violazioni dei diritti umani ascrivibili ai due paesi in questione e i bombardamenti compiuti in danno dei civili dello Yemen nella lunga guerra, ricordata solo da Papa Francesco e da pochi altri e che insanguina quel paese dal 2015: il rapporto dell’Onu, pubblicato nel novembre 2021, indicava in 377mila le vittime, per il 60 per cento dovute agli effetti indiretti del conflitto (scarsità di acqua e cibo), e in circa 150mila gli yemeniti morti negli scontri armati e nei bombardamenti aerei. L’Undp, l’Agenzia per lo sviluppo dell’Onu, ha denunciato che nel 2021 ogni 9 minuti è morto un bambino di meno di 5 anni.

 

Impedire l’irreparabile

“Centinaia di migliaia di persone innocenti muoiono, e perché?”, continua Tenzin Palmo, “A causa di un ordine dei politici e della motivazione economica che li spinge. È tutto qui, non ha niente a che fare con “chi ha ragione” o “chi ha torto”, è solo una questione di potere e di denaro” (vedi intervista pubblicata in Otto dialoghi per il tempo presente).

E le motivazioni economiche, anche nel caso dell’Ucraina, sono evidenti. Oltre alle grandi ricchezze del sottosuolo, questa regione possiede una enorme quantità di terra coltivabile (si parla del 7% del totale mondiale) che è stata privatizzata dal governo Zelensky e svenduta alle multinazionali, soprattutto statunitensi. Il settore agricolo del Paese, infatti, è ormai quasi interamente nelle mani di multinazionali americane e occidentali – quali Monsanto, Cargill e Du Pont – (vedi documento “The corporate takeover of ukraine agriculture”, redatto dall’Oakland Institute). Nel gennaio scorso a Davos, Zelensky ha firmato un accordo per la ricostruzione postbellica con Black Rock, la più grande società di investimenti del mondo: il piano prevede che in cambio dei prestiti, Kiev provveda tra l’altro alla privatizzazione di buona parte del sistema industriale pubblico del Paese. Il popolo ucraino è così doppiamente vittima, massacrato dalla guerra e, sempre a causa della guerra, derubato dei suoi beni comuni oltre che dei suoi diritti civili e sindacali.

La guerra è la condizione per l’arricchimento dei potenti e la conseguente rovina di tutti gli altri e del pianeta. Non possiamo far finta di non saperlo.  Come non ricordare quel lungimirante film di Alberto Sordi del 1974, “Finché c’è guerra c’è speranza”? Riprendiamo l’appello del fisico Marco Revelli: “Che mille voci diverse, insieme, facciano sentire il loro no alla logica del “noi” contro “loro”, alla demonizzazione di ogni nemico, alla propaganda di guerra in cui siano immersi. Siamo in guerra con la Russia, stiamo andando alla guerra con la Cina, perché la leadership dell’Occidente pretende di dominare il mondo. Fermiamo questa follia”.

 

 

Otto dialoghi per il tempo presente

Pace per vivere Sei cigni per Simone Weil

 

 
PDB, il pensiero poetico PDF Stampa E-mail
Articoli
Scritto da MC Editrice   
Giovedì 01 Dicembre 2022 17:31

PDB, il pensiero poetico

 

di Michela Bianchi

 

 

È possibile che poche righe di poesia centrino il senso delle cose più di un trattato, a volte con la nettezza di un lampo, e ci diano occhi per vedere oltre i veli della quotidianità.

Se l'intelletto è continuamente affamato di nozioni e opinioni concluse, la mente può girare libera, osservando senza ansia di scopo la realtà. E ciò avviene partecipando della natura stessa delle cose, non tirandosene fuori, tentando di misurarle, catalogarle e, in definitiva, di dominarle. Ho usato l’espressione “comunicare attraverso la relazione poetica” per sottolineare due aspetti assolutamente intrecciati del pensiero poetico di Paolo, quello della comunicazione e della relazione ovvero della sua continua aspirazione a una condivisione. Condividere la conoscenza e le conoscenze attraverso la semplicità poetica perché se la poesia può ripristinare spazi di verità e bellezza, occorre che questi vengano condivisi. Conoscere e comunicare attraverso la relazione poetica, che è poi una relazione appassionata con quanto avviene e diviene, cogliere in ogni frammento il germe e il senso della totalità, che è appunto un senso poetico: è questo l’approccio che ha segnato il vasto lavoro di Paolo De Benedetti. Intendo riferirmi a tutto il suo lavoro, di studioso, docente, scrittore e non solo alla sua, seppur significativa, produzione poetica.

Michael D. Higgins, poeta e presidente dell’Irlanda (oltre che amante degli animali come PdB), ha recentemente affermato che la poesia è un atto politico proprio per la sua capacità di condivisione.

Ogni atteggiamento di apertura ha i suoi rischi, ma PdB non ha paura di perdersi, di abbandonare le certezze, di - per usare le sue stesse parole - “cadere nel gioco di Dio”. Anzi ci fa presente che il Dio biblico è un Dio in movimento, richiamando le stanghe dell’arca… E in proposito voglio ricordare il modo (poetico) con cui lo spiega.

Scrive PdB: “mentre da molti cristiani il dubbio è considerato un male da evitare o, almeno, da allontanare prima possibile, nell'ebraismo esso è considerato una cosa molto buona e necessaria; in un certo senso, è l'elemento che mantiene viva la Torà”; e riporta il passo di Deut. 30, 11-14: Questa legge che oggi io ti do non è in cielo... non è al di là del mare... ma è molto vicina a te, sulla tua bocca e nel tuo cuore. “Quindi”, spiega Paolo, “te l'ho data e ora cammina, tu e la Torà insieme. Emmanuel Lévinas ha illustrato questo concetto con un'immagine bellissima. Nell'Esodo ci sono istruzioni sul modo di fabbricare il santuario e così pure l'arca: essa deve avere quattro anelli d'oro in cui devono essere infilare quattro stanghe di acacia rivestite d'oro che, dice il testo, "non saranno mai tolte" (Es 25,10-16). Quando poi Salomone costruisce il tempio e colloca l'arca dentro il Santo dei Santi, le stanghe risultano più lunghe del luogo che doveva accoglierle, eppure non vengono tolte. Ebbene, di questo fatto Lévinas dà un'interpretazione, direi, midrashica: "Le stanghe non vengono tolte perché la Torà è sempre pronta al movimento, deve essere sempre in grado di camminare con il popolo".

E ancora, nel libro “Ciò che tarda avverrà”, si legge: “la Scrittura vuole che noi ci diamo da fare, non è un vassoio con sopra le cose già pronte…” Il che vuol dire, tra l’altro: diffidiamo da chi ci fa trovare la tavola apparecchiata, da chi propone pensieri conclusi o conclusivi, da chi ci tiene tranquillamente seduti al nostro posto, e non rischia terreni sconosciuti. PdB ci insegna ad accogliere l’imprevedibile che è nel mondo, ad affidarci alla vita, al gioco della vita. Il che porta con sé anche la capacità di non prendersi troppo sul serio come ci insegnano, con gran divertimento, i suoi componimenti nonsense. C’è un buon senso nel nonsense di cui abbiamo bisogno per assaporare l’essenza delle cose. Come ho scritto in una nota di introduzione al libro “Una gioia di nonsense” in cui si raccolgono diversi componimenti di Paolo (in forma di limerick e incarrighiane), il nonsense è fuori dal mondo dei concetti: i concetti hanno lo scopo (faticoso) di persuadere mentre il nonsense non esprime opinioni (e quindi, in questo ambito, non esiste un’opinione che prevale sull’altra); non obbedisce a un sistema ma ha una funzione liberatoria, agisce senza voler agire, modificando la coscienza, lo stato d’animo. Rappresenta un buon antidoto al dogmatismo.

 

Rileggiamo, sempre seguendo questo filo sottile, l’inizio dell’introduzione di Paolo al libro “Sento rido soffro e ti guardo” sulla relazione uomo-animale: “Tutti i lettori della Bibbia sanno che Dio creò l’essere umano, uomo e donna per ultimi, dopo aver creato astri, piante, animali. Ma, se mi è concessa qualche libertà esegetica, io oserei immaginare che Dio abbia cominciato (il primo giorno) creando l’uomo, a abbia poi creato piante e animali per consolarsi del cattivo esito di Adamo ed Eva”. E conclude: “e tu, o lettore, non dimenticare che Dio non mostrò il suo volto a Mosè, ma all’asina di Balaam, e che quando Ulisse giunse finalmente a Itaca, il suo cane Argo, come lo senti vicino, “mosse la coda, abbassò le due orecchie” e morì. Presentando le poesie dedicate ai gatti pubblicate nel libro “Gatti in cielo” scriveva:Se ciò che ha avuto vita e sentimento (certo! sentimento nelle più varie forme) fosse dimenticato nella resurrezione finale, l’opera di Dio sarebbe un fallimento. Ma disse Paolo vi: “Gli animali sono la parte più piccola della creazione divina, ma noi un giorno la rivedremo nel mistero di Cristo”. Sono la parte più piccola perché non hanno la sete umana di essere grandi, perché non rivendicano il loro diritto a essere riconosciuti opera di Dio (il quale, quando li creò, disse che erano “cosa buona” e li benedisse, mentre quando creò l’uomo non disse che era “cosa buona”)”.

 

Le poesie di un giovanissimo Paolo De Benedetti (meno che ventenne) sono state pubblicate nel 1948 in un’antologia dal titolo Luci Vaganti edita da Arethusa, coraggiosa casa editrice che inizia la sua attività tre anni prima, nel 1945, tra le macerie della guerra. La scelta dei poeti fu affidata a Sara Treves, donna e docente straordinaria; una scelta che, oltre al valore letterario, conteneva un chiaro significato politico, di impegno civile e antifascista. I componimenti di Paolo sono stati ripubblicati recentemente nel libro “Cantano tutti i ricordi” che sceglie come titolo un verso di PdB proveniente da una delle prime poesie di questa raccolta: Elegia. Mi ha colpito subito questo verbo: “cantano” che sembra dare la connotazione a gran parte dei componimenti. E del resto compare declinato in diverse poesie. I ricordi, i sentimenti, le impressioni anche i più dolorosi riescono a diventare canto. E quindi ad arrivare fino a noi, a vibrare. E ad arrivare puri, purificati.

Al titolo, abbiamo scelto insieme con Maria De Benedetti di aggiungere il sottotitolo: “nulla può fare ch’io non sogni”. Viene sempre da una poesia della raccolta che si intitola Pulvis es. E secondo me porta un altro elemento, una sorta di cornice che tiene insieme il divenire dei versi e dei giorni ricordati: la stabilità dell’anima che, appunto, continua a sognare in quella “fluviale serenità che senza tempo è uguale”. I ricordi cantano sono vivi, pungenti, dolorosi e poi il poeta sogna, continua a sognare, purificando la sofferenza del giorno, ritrovando e offrendo al lettore una nuova innocenza. E qui si rivela il senso poetico di Paolo, già ben presente in età giovanile per diventare la forza gentile di tutto il suo pensiero.

 
Agostino Carabelli, lo sguardo PDF Stampa E-mail
Articoli
Scritto da MC Editrice   
Venerdì 29 Aprile 2022 00:00

Agostino Carabelli, lo sguardo

 

Agostino ci ha lasciato qualche giorno fa. Illustratore, pittore, grafico ha curato la direzione artistica del catalogo MC e illustrato con le proprie opere diversi libri. Ma non solo. Ha camminato con noi, facendo spesso da stimolo in quei percorsi inusuali che ci è piaciuto sperimentare, con la felice consapevolezza di mettersi a volte lontani dai perimetri segnati dal mercato. Abbiamo insieme concretamente condiviso quella piccola idea per cui i libri devono camminare, rimanere vivi mettendosi in gioco su piani diversi. E sono nati intrecci con il teatro, la musica, la danza. Mescolanze che oggi sono diventate frequenti ma che con lui abbiamo voluto proporre oltre venti anni fa. Con divertimento e per puro piacere.

Per questo parlare di Agostino solo come illustratore e art director è riduttivo: chi – e sono tanti – ha lavorato con lui, anche per un solo progetto, ha potuto sperimentare il suo sguardo. E questo rimane vivo. Vive il suo modo di percepire il mondo se riusciamo ogni volta a ritrovare quello sguardo, che può comportare (non di rado) capovolgere il punto di vista; vedere quello che apparentemente non c’è; sentire comunque compassione.  Potremo riconoscere ancora, in una Milano consumata dai consumi, le storie con la esse minuscola che riempivano i suoi quaderni di appunti e poi i tanti fogli da disegno sempre sparsi sul tavolo. Accanto alle centinaia di ritratti di musicisti di ogni epoca raccontati appunto attraverso il suo sguardo e quindi indimenticabili.

Non ci rimane, non mi rimane che continuare. Personalmente, ringraziando di quanto realizzato insieme, in un’intesa che ho sempre considerato rarissima.
Michela Bianchi

 

Alcune delle copertine illustrate da Agostino

 

La mostra tuttora visibile presso la Biblioteca Sormani di Milano, uno dei suoi ultimi impegni


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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