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Acqua: salvare la gestione pubblica

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Scritto da Marco Manunta   
Martedì 26 Ottobre 2010 00:00

Salvare la gestione pubblica
in Lombardia (e non solo)

Il libroLa Regione Lombardia ci riprova. Dopo la marcia indietro imposta dall’iniziativa referendaria dei sindaci, facendosi forza del decreto Ronchi, che ha previsto la privatizzazione generalizzata dei servizi pubblici locali a partire dal gennaio 2012 e, in particolare, di quello idrico, si tenta nuovamente di favorire i capitali finanziari, assetati di investimenti sicuri.
L’allarme per l’annunciata proposta di legge lombarda sulla privatizzazione del servizio idrico è, quindi, più che giustificato.
I tempi sono, però, tiranni: alla scadenza degli affidamenti pubblici (31 dicembre 2011) manca poco tempo e gli amministratori locali sono convinti di dover predisporre in fretta la gara “ad evidenza pubblica” per l’affidamento al gestore privato o per la scelta del socio privato da inserire nelle società a controllo pubblico, attualmente titolari della gestione.
L’incertezza del quadro politico rende ancor più problematiche le scelte: nonostante il popolo dell’acqua abbia chiesto a gran voce il referendum abrogativo del decreto Ronchi (più di un milione e 400 mila firme raccolte), la consultazione slitterebbe automaticamente all’anno successivo (2012), se dovessero tenersi le elezioni politiche anticipate nel 2011 (articolo 34 della legge 352/1970 che disciplina il referendum). In pratica, l’eventuale scioglimento delle camere svuoterebbe di senso il referendum, che potrebbe tenersi con la privatizzazione già attuata.
Ma c’è un’altra strada e un’opportunità da cogliere.
L’Ordinamento europeo riconosce l’autonomia locale in materia di servizi pubblici e la normativa europea prevale su quella nazionale dei singoli stati membri dell’Unione. In pratica, le amministrazioni locali devono avere l’ultima parola eventualmente anche in aperto contrasto con il decreto Ronchi: possono decidere di gestire direttamente (tramite ente pubblico o società in house), mantenendo, cioè, la gestione interamente in mani pubbliche. I passi necessari e i requisiti sono esposti nel libro Uno statuto per l’acqua a portata di voto (
Marco Manunta, MC Editrice 2010). La tesi giuridica sostenuta nel libro ha, di recente, ricevuto l’autorevole conferma del Consiglio di Stato: con la sentenza del 10 settembre 2010, infatti, il massimo tribunale amministrativo ha riconosciuto che “la scelta delle modalità di erogazione e del regime giuridico, al quale le varie attività sono sottoposte, dipende, in definitiva, più da valutazioni politiche che dai caratteri intrinseci dei servizi”. In sostanza, anche alla luce della normativa europea e all’interpretazione data dalla nostra Corte Costituzionale, specificamente richiamate, non è individuabile, in senso puramente oggettivo e astratto, la categoria dei servizi di interesse economico generale, in quanto tali assoggettati alle regole della concorrenza e del mercato, ma va tenuto conto delle “peculiarità del caso concreto, quali la concreta struttura del servizio, le concrete modalità del suo espletamento, i suoi specifici connotati economico-organizzativi, la natura del soggetto chiamato ad espletarlo, la disciplina normativa del servizio”.
La pretesa del decreto Ronchi di catalogare a priori come di “interesse economico” i servizi locali e di sottoporli comunque alle regole di mercato non è conforme al diritto europeo, cui lo stesso decreto dichiara di richiamarsi.
Accanto alla mobilitazione per il referendum, quindi, va sostenuta la conoscenza dell’opzione tutta pubblica, possibile anche senza passare necessariamente dall’abrogazione del decreto Ronchi.
E’ un’opzione che richiede una precisa determinazione da parte degli enti locali e uno studio anche più attento, ma che proprio per questo potrebbe condurre a risultati insperati.



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