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Il cambiamento climatico del ciclo dell’acqua

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Scritto da MC Editrice   
Giovedì 23 Aprile 2020 20:08

Il cambiamento climatico del ciclo dell’acqua

Di Giovanni Molina dottore agronomo, direttore di DINAMO (Distretto neorurale delle tre acque di Milano)

 

Un lavoro di studio effettuato dal Parco del Ticino e dall’Associazione di Irrigazione Est-Sesia ci porta a riflettere sui cambiamenti delle dinamiche del ciclo dell’acqua nel bacino idrico del Po, in particolare nella sua parte alta ovvero la pianura irrigua risicola nella porzione nord ovest del Bacino. Il lavoro è stato presentato nel corso del convegno svoltosi a Milano, a Palazzo Isimbardi il 20 febbraio scorso, dal titolo Agricoltura, collettività e clima.

 

La lettura della quantità di precipitazioni nell’arco dell’anno effettuata su diverse stazioni meteorologiche ci dimostra che il cambiamento climatico non ha diminuito la quantità d’acqua che cade dal cielo, ma ha cambiato le dinamiche temporali e distributive del fenomeno pioggia: piove in modo più intenso e per tempi più ristretti, quindi in modo più violento e, in parte con diversa distribuzione spaziale.

Il cambiamento climatico incide in modo evidente ed acclarato su un altro comparto del ciclo idrico: l’accumulo nelle calotte dei ghiacciai in particolare di quelli alpini che sono in costante riduzione. Ciò significa che l’acqua che “transita” per la pianura padana è sempre la stessa o addirittura è di più.

Perché allora la nostra percezione è quella di una situazione di mancanza d’acqua? Perché siamo così ben consapevoli e sensibili alla necessità del “risparmio idrico”?

L’estate 2019 è stata di insegnamento: la rete di distribuzione irrigua era al suo meglio ed addirittura oltre il regime ottimale di invaso, eppure molti agricoltori non riuscivano a bagnare i campi. Così, come nelle ultime dieci estati, nel mese di giugno, si è sollevato l’allarme siccità. In effetti molti agricoltori, in particolare i risicoltori che negli ultimi anni sono passati dalla semina in acqua a quella in asciutta, non riuscivano a bagnare i propri campi. Cosa è successo?

L’analisi effettuata dal team Parco-Est Sesia ha analizzato le dinamiche di falda, individuando una spiegazione nel cambiamento del periodo d’uso dell’acqua irrigua e nella conseguente variazione della “subsidenza di falda” (la profondità a cui si trova la falda acquifera tale da consentire la risalita capillare nel terreno e il conseguente minor impiego di risorse irrigue in superficie)

In sostanza alle dinamiche climatiche si sono aggiunte dinamiche agronomiche legate alla coltivazione del riso in asciutta e alla riduzione delle superfici foraggere a prato in pianura, ovvero ad una cospicua perdita di “ricarico delle falde” con conseguente aumento della subsidenza, cioè spostamento della falda a profondità maggiori che la rendono meno disponibile per lo strato fertile.

Come spesso avviene negli squilibri ecologici, il fenomeno ha innescato un circolo vizioso in cui l’innovazione tecnica ha fatto da acceleratore, incrementando inconsapevolmente il danno. La superficie coltivata a riso in asciutta è passata dal 25% della superficie risicola totale al 75% attuale. Apparentemente un vantaggio in quanto fonti autorevoli indicano che il consumo ad ettaro di acqua irrigua si riduce dai circa 14.000 mc/anno per una risaia sommersa, ai “soli” circa 10.000 mc/anno per una risaia in asciutta. Lo studio evidenzia che la cifra non è sempre vera e non è mai un vero risparmio idrico in termini di sistema. La risaia sommersa viene allagata a partire da inizio aprile, mentre la risaia asciutta da fine maggio-metà giugno. Il terreno ad aprile si trova normalmente umido per le precipitazioni primaverili e le temperature sono notevolmente più basse, quindi l’evaporazione in fase di allagamento è molto più contenuta. L’infiltrazione nel sottosuolo verso la falda è viceversa più lenta e lunga. In breve spostando di due mesi l’allagamento si perde più acqua in atmosfera e ne va meno in falda. Con l’estensione delle superfici in asciutta inoltre si verifica una maggiore necessità d’acqua in asciutta: perché la falda non ha visto contributi irrigui in primavera e perché le risaie asciutte non possono “bere” dalle risaie bagnate vicine, cosa che è avvenuta nel silenzio dell’ultimo quinquennio, finché le superfici in asciutta non hanno superato quelle in sommersione.

Nel mese di giugno inoltre si concentrano le richieste idriche di molte altre colture, in primo luogo il mais che ha sostituito i prati nei sistemi di foraggiamento degli ultimi 50 anni, causando anche un impoverimento della presenza di sostanza organica nello strato fertile (la sostanza organica contribuisce a rendere il terreno agrario maggiormente capace di trattenere l’acqua primaverile e rilasciarla nel periodo estivo).

In breve in nome di un risparmio idrico si è “persa” più acqua: in cielo con una più veloce evaporazione e, lasciandola correre più velocemente nel reticolo irriguo principale, verso il mare.

Non solo: la maggior evaporazione estiva, più rapida ed ascendente sembra non migliorare nemmeno la qualità delle precipitazioni che hanno modificato i loro ritmi passando dalle classiche piogge serali che bagnavano le nostre prealpi a partire da maggio a violenti temporali con trombe d’aria nei mesi estivi.

Se l’obiettivo di “risparmio” è valorizzare l’acqua il risultato è pessimo: l’acqua che non è entrata nella circolarità del sistema di falda e dei terreni agrari ha imparato solo a muoversi più velocemente ovvero a “scappare” in aria o in mare invece che “indugiare” nella spugna fertile da cui possiamo attingere. Questa “spugna” sostiene sia il ciclo agrario, sia il reticolo verde delle aree umide delocalizzate nella pianura con tutto il patrimonio di biodiversità e resilienza ambientale che da quest’acqua lenta trae beneficio.

 

 

Possiamo fermare l’acqua?

Ovviamente non è possibile “fermare” l’acqua, ma prendendo dalla saggezza contadina dobbiamo imparare che solo “l’acqua ferma l’acqua”. Questo lo sapeva anche Leonardo da Vinci che utilizzava questo concetto nelle sue “scale d’acqua”: sistemazioni idrauliche inventate per far defluire l’acqua lungo pendii evitandone l’erosione. Un esempio è la scala d’acqua della frazione Sforzesca a Vigevano. L’acqua è “fermata” creando un salto che confluisce in un bacino a conca: la forza dell’acqua in caduta libera dal salto è fermata dall’accogliente piscina in cui giunge e non c’è cemento armato capace di resistere all’erosione continua dell’acqua come è capace di fare l’acqua stessa.

Come possiamo quindi rallentare la discesa della preziosa acqua limpida che abbandona i nostri ghiacciai correndo verso il mare? La risposta la impariamo da Leonardo e dai contadini, così come i Monaci cistercensi impararono a applicare sistematicamente e a tramandare la sistemazione idraulica delle marcite che nel contado tardo medievale fu “inventata”, per gestire l’acqua che si impaludava intorno alle sorgive (Comincini, 2012). Se incentiviamo le pratiche agrarie che, da secoli, ricaricano la falda di superficie e lo strato fertile dei terreni di acqua creiamo una sorta di “piscina diffusa” che genera un rallentamento del deflusso idrico comandato dalla forza di gravità.

Il concetto è di fisica pura: a pari forza propulsiva la velocità è regolata dall’attrito.

Da qui nascono quattro proposte dell’Ente Parco da subito applicabili attraverso le politiche agrarie:

 

1.  tornare alla “risaia tradizionale”, abbandonando la “risaia asciutta”: questo consente di migliorare l’equilibrio tra acque superficiali e le acque sotterranee nel periodo primaverile, quando la richiesta di acqua irrigua per altre colture è minore e l’evapotraspirazione molto più bassa. Di conseguenza in estate la richiesta di acqua per il riso diminuirebbe, lasciando maggiore disponibilità  per i sistemi prativi e per i cereali estivi.

2.   tornare a far circolare l’acqua irrigua anche in inverno, attraverso: sommersione di risaie invernali, prati allagati, marcite, circolazione acqua nel reticolo aziendale. Questo favorisce l’equilibrio tra acqua superficiale e acqua di falda, portando la campagna coltivata ad una situazione di umidità dei suoli tale da poter avviare le semine primaverili in condizioni migliori e con minori sprechi idrici.

3.    fare scelte colturali alternative al mais, coltura che richiede tantissima acqua, ad esempio modificando il sistema di alimentazione del bestiame con l’introduzione di colture prative come prati ed erbai  o di foraggere che richiedono meno acqua in estate, come l’erba medica (soprattutto ove l’acqua irrigua deve essere sollevata o pompata con consumo energetico). Queste scelte aiutano a sostituire parte del mais coltivato per insilati, aumentando inoltre la copertura vegetazionale del suolo tutto l’anno, nonché permettendo di produrre in azienda gran parte della quota proteica per la razione zootecnica, così da ridurre la dipendenza da mangimi e soia (anche loro idrovori).

4.    valorizzare le pratiche per l’incremento della Sostanza Organica nei terreni: Coltivazione con tecniche di bassa lavorazione, concimazioni organiche (con reimpieghi aziendali da stabulazione su lettiera), permanenza delle colture di copertura invernali, reintroduzione delle colture da sovescio … ovvero tecniche innovative di agri-coltura ecologica

5.    aumentare la varietà del paesaggio rurale, attraverso misure di protezione della partitura poderale e del reticolo idrico fine, affiancate da incentivi per gli elementi vegetazionali e la biodiversità: quali siepi e aree umide.

 

Per concludere

-         Ci sono meccanismi per contrastare il cambiamento climatico con un miglior impiego dell’acqua in agricoltura;

-         Bisogna far capire alla UE la peculiarità unica del sistema irriguo padano;

-         E’ una buona direzione in cui di investire soldi pubblici;

-         E’ necessario coinvolgere gli imprenditori agricoli, le loro aggregazioni e i loro fornitori di servizi;

-         Si avvia un’azione corale.

 

 



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