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Sentieri himalayani

Sette racconti di viaggio ed altrettanti itinerari in una delle regioni più suggestive e sacre del pianeta, con una guida d’eccezione come Jacques Vigne. Medico psichiatra, ricercatore, maestro di meditazione, per la prima volta, e per il pubblico italiano, raccoglie in un libro le sue esperienze di viaggiatore e di guida sui sentieri himalayani.

 

Una gioia di nonsense

Perché abbiamo bisogno del comico e dell’assurdo? Da dove viene l’interesse per una forma poetica così poco convenzionale come il nonsense? Andare oltre il pensiero razionale, accogliere il senso nudo dell’esistenza ha un effetto liberatorio, salvifico, persino gioioso.

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PDB, il pensiero poetico

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Scritto da MC Editrice   
Giovedì 01 Dicembre 2022 17:31

PDB, il pensiero poetico

 

di Michela Bianchi

 

 

È possibile che poche righe di poesia centrino il senso delle cose più di un trattato, a volte con la nettezza di un lampo, e ci diano occhi per vedere oltre i veli della quotidianità.

Se l'intelletto è continuamente affamato di nozioni e opinioni concluse, la mente può girare libera, osservando senza ansia di scopo la realtà. E ciò avviene partecipando della natura stessa delle cose, non tirandosene fuori, tentando di misurarle, catalogarle e, in definitiva, di dominarle. Ho usato l’espressione “comunicare attraverso la relazione poetica” per sottolineare due aspetti assolutamente intrecciati del pensiero poetico di Paolo, quello della comunicazione e della relazione ovvero della sua continua aspirazione a una condivisione. Condividere la conoscenza e le conoscenze attraverso la semplicità poetica perché se la poesia può ripristinare spazi di verità e bellezza, occorre che questi vengano condivisi. Conoscere e comunicare attraverso la relazione poetica, che è poi una relazione appassionata con quanto avviene e diviene, cogliere in ogni frammento il germe e il senso della totalità, che è appunto un senso poetico: è questo l’approccio che ha segnato il vasto lavoro di Paolo De Benedetti. Intendo riferirmi a tutto il suo lavoro, di studioso, docente, scrittore e non solo alla sua, seppur significativa, produzione poetica.

Michael D. Higgins, poeta e presidente dell’Irlanda (oltre che amante degli animali come PdB), ha recentemente affermato che la poesia è un atto politico proprio per la sua capacità di condivisione.

Ogni atteggiamento di apertura ha i suoi rischi, ma PdB non ha paura di perdersi, di abbandonare le certezze, di - per usare le sue stesse parole - “cadere nel gioco di Dio”. Anzi ci fa presente che il Dio biblico è un Dio in movimento, richiamando le stanghe dell’arca… E in proposito voglio ricordare il modo (poetico) con cui lo spiega.

Scrive PdB: “mentre da molti cristiani il dubbio è considerato un male da evitare o, almeno, da allontanare prima possibile, nell'ebraismo esso è considerato una cosa molto buona e necessaria; in un certo senso, è l'elemento che mantiene viva la Torà”; e riporta il passo di Deut. 30, 11-14: Questa legge che oggi io ti do non è in cielo... non è al di là del mare... ma è molto vicina a te, sulla tua bocca e nel tuo cuore. “Quindi”, spiega Paolo, “te l'ho data e ora cammina, tu e la Torà insieme. Emmanuel Lévinas ha illustrato questo concetto con un'immagine bellissima. Nell'Esodo ci sono istruzioni sul modo di fabbricare il santuario e così pure l'arca: essa deve avere quattro anelli d'oro in cui devono essere infilare quattro stanghe di acacia rivestite d'oro che, dice il testo, "non saranno mai tolte" (Es 25,10-16). Quando poi Salomone costruisce il tempio e colloca l'arca dentro il Santo dei Santi, le stanghe risultano più lunghe del luogo che doveva accoglierle, eppure non vengono tolte. Ebbene, di questo fatto Lévinas dà un'interpretazione, direi, midrashica: "Le stanghe non vengono tolte perché la Torà è sempre pronta al movimento, deve essere sempre in grado di camminare con il popolo".

E ancora, nel libro “Ciò che tarda avverrà”, si legge: “la Scrittura vuole che noi ci diamo da fare, non è un vassoio con sopra le cose già pronte…” Il che vuol dire, tra l’altro: diffidiamo da chi ci fa trovare la tavola apparecchiata, da chi propone pensieri conclusi o conclusivi, da chi ci tiene tranquillamente seduti al nostro posto, e non rischia terreni sconosciuti. PdB ci insegna ad accogliere l’imprevedibile che è nel mondo, ad affidarci alla vita, al gioco della vita. Il che porta con sé anche la capacità di non prendersi troppo sul serio come ci insegnano, con gran divertimento, i suoi componimenti nonsense. C’è un buon senso nel nonsense di cui abbiamo bisogno per assaporare l’essenza delle cose. Come ho scritto in una nota di introduzione al libro “Una gioia di nonsense” in cui si raccolgono diversi componimenti di Paolo (in forma di limerick e incarrighiane), il nonsense è fuori dal mondo dei concetti: i concetti hanno lo scopo (faticoso) di persuadere mentre il nonsense non esprime opinioni (e quindi, in questo ambito, non esiste un’opinione che prevale sull’altra); non obbedisce a un sistema ma ha una funzione liberatoria, agisce senza voler agire, modificando la coscienza, lo stato d’animo. Rappresenta un buon antidoto al dogmatismo.

 

Rileggiamo, sempre seguendo questo filo sottile, l’inizio dell’introduzione di Paolo al libro “Sento rido soffro e ti guardo” sulla relazione uomo-animale: “Tutti i lettori della Bibbia sanno che Dio creò l’essere umano, uomo e donna per ultimi, dopo aver creato astri, piante, animali. Ma, se mi è concessa qualche libertà esegetica, io oserei immaginare che Dio abbia cominciato (il primo giorno) creando l’uomo, a abbia poi creato piante e animali per consolarsi del cattivo esito di Adamo ed Eva”. E conclude: “e tu, o lettore, non dimenticare che Dio non mostrò il suo volto a Mosè, ma all’asina di Balaam, e che quando Ulisse giunse finalmente a Itaca, il suo cane Argo, come lo senti vicino, “mosse la coda, abbassò le due orecchie” e morì. Presentando le poesie dedicate ai gatti pubblicate nel libro “Gatti in cielo” scriveva:Se ciò che ha avuto vita e sentimento (certo! sentimento nelle più varie forme) fosse dimenticato nella resurrezione finale, l’opera di Dio sarebbe un fallimento. Ma disse Paolo vi: “Gli animali sono la parte più piccola della creazione divina, ma noi un giorno la rivedremo nel mistero di Cristo”. Sono la parte più piccola perché non hanno la sete umana di essere grandi, perché non rivendicano il loro diritto a essere riconosciuti opera di Dio (il quale, quando li creò, disse che erano “cosa buona” e li benedisse, mentre quando creò l’uomo non disse che era “cosa buona”)”.

 

Le poesie di un giovanissimo Paolo De Benedetti (meno che ventenne) sono state pubblicate nel 1948 in un’antologia dal titolo Luci Vaganti edita da Arethusa, coraggiosa casa editrice che inizia la sua attività tre anni prima, nel 1945, tra le macerie della guerra. La scelta dei poeti fu affidata a Sara Treves, donna e docente straordinaria; una scelta che, oltre al valore letterario, conteneva un chiaro significato politico, di impegno civile e antifascista. I componimenti di Paolo sono stati ripubblicati recentemente nel libro “Cantano tutti i ricordi” che sceglie come titolo un verso di PdB proveniente da una delle prime poesie di questa raccolta: Elegia. Mi ha colpito subito questo verbo: “cantano” che sembra dare la connotazione a gran parte dei componimenti. E del resto compare declinato in diverse poesie. I ricordi, i sentimenti, le impressioni anche i più dolorosi riescono a diventare canto. E quindi ad arrivare fino a noi, a vibrare. E ad arrivare puri, purificati.

Al titolo, abbiamo scelto insieme con Maria De Benedetti di aggiungere il sottotitolo: “nulla può fare ch’io non sogni”. Viene sempre da una poesia della raccolta che si intitola Pulvis es. E secondo me porta un altro elemento, una sorta di cornice che tiene insieme il divenire dei versi e dei giorni ricordati: la stabilità dell’anima che, appunto, continua a sognare in quella “fluviale serenità che senza tempo è uguale”. I ricordi cantano sono vivi, pungenti, dolorosi e poi il poeta sogna, continua a sognare, purificando la sofferenza del giorno, ritrovando e offrendo al lettore una nuova innocenza. E qui si rivela il senso poetico di Paolo, già ben presente in età giovanile per diventare la forza gentile di tutto il suo pensiero.



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