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DDL CONCORRENZA: ANCHE DELL’ACQUA SI FA MERCATO VIOLANDO I REFERENDUM

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Progetti
Written by MC Editrice   
Wednesday, 17 November 2021 11:28

Con il disegno di legge (DDL) approvato il 4/11/2021 dal Consiglio dei Ministri in materia di concorrenza e mercato il Governo si è mosso in modo molto invasivo sui servizi pubblici locali, nessuno escluso: dai trasporti ai rifiuti e all’acqua potabile.

Il principio ispiratore dell’intervento è di nuovo il liberismo spinto, come se la gestione mercantile adottata sistematicamente negli ultimi lustri e, soprattutto, durante la pandemia, non avesse dimostrato chiaramente il fallimento della ricetta. Ciononostante viene esaltata la privatizzazione dei servizi e l’affidamento al mercato come il toccasana “per rafforzare la giustizia sociale, la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici, la tutela dell’ambiente e il diritto alla salute dei cittadini” (articolo 1).

Se il DDL verrà tradotto in legge dal Parlamento nessuno dei servizi locali potrà rimanere nella gestione pubblica. Nessuna eccezione è prevista, neppure per l’acqua: il servizio idrico è equiparato in tutto e per tutto a qualunque altro servizio gestito in forme e con finalità puramente mercantili

Ma l’intervento del Governo, in particolare per quanto riguarda l’acqua, è censurabile sotto due aspetti. Sotto l’aspetto politico e democratico, in quanto viene calpestata platealmente la volontà espressa dagli elettori con i referendum del 2011: “no alla privatizzazione dei servizi idrici” e “no al profitto sulla gestione dell’acqua”.

Con i due referendum infatti, i cittadini hanno bocciato a larghissima maggioranza l’obbligo di privatizzare i servizi idrici ed hanno cancellato il margine di utile previsto per legge in favore del gestore del servizio.Questa espressione netta della volontà politica degli elettori, però, non ha sinora avuto concreta attuazione.

In particolare:

l’esclusione di ogni margine di utile per il gestore è stato eluso ricorrendo ad audaci formule terminologiche;

la ripubblicizzazione dei servizi in tutto o in parte in mano ai privati non è neppure iniziata.

Senza dimenticare la proposta di legge di iniziativa popolare volta a rendere effettivo il diritto universale all’acqua che giace in Parlamento da oltre 10 anni.

Sotto l’aspetto giuridico, poi, l’invasione della competenza regionale sui servizi locali presenta in modo evidente un profilo di illegittimità costituzionale del DDL stesso su cui è necessario tornare in modo specifico.

E, infine, la motivazione, anche questa trita e ritrita, dell’adeguamento ai principi dell’Unione europea, che è la perenne foglia di fico del liberismo: nessun obbligo di privatizzazione è previsto, in realtà, dalla normativa europea.

Nelle premesse della Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, si legge infatti che “ è opportuno che le disposizioni della presente direttiva relative alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei servizi si applichino soltanto nella misura in cui le attività in questione sono aperte alla concorrenza e non obblighino pertanto gli Stati membri a liberalizzare i servizi d’interesse economico generale, a privatizzare gli enti pubblici che forniscono tali servizi o ad abolire i monopoli esistenti per quanto riguarda altre attività o certi servizi di distribuzione.

Tali premesse sono state tradotte in disposizioni, se possibile, anche più esplicite. Così, l’art.1 della Direttiva ribadisce espressamente che rimane impregiudicata la libertà, per gli Stati membri, di definire, in conformità del diritto comunitario, quali essi ritengano essere servizi d’interesse economico generale, in che modo tali servizi debbano essere organizzati e finanziati, in conformità delle regole sugli aiuti concessi dagli Stati, e a quali obblighi specifici essi debbano essere soggetti.

Trattandosi della Direttiva approvata proprio in materia di liberalizzazione di servizi,[1] la conclusione che non esiste alcun obbligo di privatizzare è assolutamente chiara: viene ribadita per l’ennesima volta la facoltà di scelta degli stati membri fra la gestione pubblica e quella privata, con il corollario, scontato e ovvio, che l’opzione privatistica impone il rispetto delle regole di concorrenza e non discriminazione fra prestatori di servizi.

(sul punto rimandiamo a Marco Manunta, Uno statuto per l’acqua. MC Editrice).

Marco Manunta Michela Bianchi

 

 

 



[1] Si tratta della Direttiva nata dall’originaria proposta di Direttiva c.d. Bolkenstein, poi emendata dal Parlamento Europeo, a seguito di ampio dibattito e, soprattutto, delle vibrate proteste sollevatesi in tutta Europa proprio a causa dell’impronta improvvidamente liberista del testo iniziale.



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