Miliardi per distruggere o aiutare la biodiversità

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Scritto da MC Editrice   
Giovedì 26 Novembre 2020 16:36

Miliardi per distruggere o aiutare la biodiversità


I soldi pubblici di cui si parla sono quelli della Pac (Politica agricola comunitaria) 
una politica molto ben finanziata, che oggi pesa per un terzo dell’intero budget UE con 60 miliardi all’anno. Ebbene la PAC che rappresenta il più grande programma di sussidi diretti esistente al mondo, 390 miliardi per il periodo 2021-2027, oltre un terzo del bilancio Ue, è stata oggetto di una proposta di revisione da parte della Commissione nel 2018, in anticipo sull'approvazione del budget europeo 2021- 2027 di cui fa parte. La riforma  proposta aveva lo scopo di premiare con i sussidi una transizione verso la sostenibilità e quindi di ridurre l’inquinamento provocato da agricoltura e allevamenti intensivi. Il 20 ottobre la proposta è stata discussa in sede di Europarlamento. Cosa è successo?


Riportiamo alcuni passaggi dall’articolo di Damiano Di Simine, coordinatore del Comitato scientifico di Legambiente, pubblicato sul L’Espresso del 28 ottobre:


La Commissione Juncker, nel cui mandato è stata definita nel 2018 la proposta di regolamento per la nuova PAC, ha promosso una vasta consultazione dei cittadini, che ha visto prevalere la richiesta di una politica che premiasse la sostenibilità ambientale e la salubrità nella filiera del cibo. Si consolidava così l’orientamento già adottato dalla Commissione, verso il superamento del sistema di sussidi, con lo slogan ‘Public money for public goods’: aiuti pubblici devono essere destinati ad azioni che generino un verificabile beneficio collettivo.

La Commissione a guida Von der Leyen ha raccolto la proposta di regolamento del 2018 e l’ha riposizionata su obiettivi più ambiziosi, incasellando la PAC nel Green Deal attraverso due strategie, presentate a maggio: Biodiversità 2030, che prevede tra l’altro di destinare almeno il 10% del territorio agricolo ad aree per la conservazione delle specie selvatiche; e Farm to Fork (dal campo al piatto), che introduce target importanti di riduzione degli input di fertilizzanti sintetici (del 20%), dimezzamento dell’uso di pesticidi pericolosi e antibiotici veterinari, e crescita  del territorio agricolo a conduzione biologica fino al 25% della superficie agricola europea.

Evidentemente troppo per le lobby agroindustriali che cingono l’assedio permanente alle istituzioni europee e ai ministeri degli Stati Membri. Il risultato della loro pressione è ben leggibile nell’architettura dell’accordo trasversale con cui le maggiori famiglie politiche dell’Europarlamento (Socialisti e Democratici, Partito Popolare Europeo e liberal di Renew) hanno portato al voto un pacchetto di emendamenti che non solo ha fatto strame dei target del Green Deal, ma ha annacquato anche il regolamento del 2018, riportando le lancette della PAC indietro di un decennio:

gli ecoschemi che avrebbero dovuto essere la più forte innovazione, trasformati in una cattiva copia del vecchio greening, il rinvio dell’entrata in vigore a regime degli aiuti ambientali rinviato al 2025, l’indebolimento della ‘condizionalità ambientale’ (ovvero l’obbligo di rispettare norme e buone pratiche agronomiche) riducendo al 3% la quota di territorio da destinare ad ecosistemi naturali e consentendo la trasformazione in seminativi di preziose aree di pascolo e prateria, la riduzione della quota di spesa per interventi climatico-ambientali a valere sul fondo per lo sviluppo rurale, il mantenimento di sussidi nocivi, come i pagamenti accoppiati collegati al numero capi allevati.

Un arretramento di proporzioni inedite nella storia dell’UE, in cui è emersa fortemente la pressione degli Stati Membri, in gran parte ostili all’innalzamento dei requisiti ambientali della riforma, che ha visto l’Italia giocare da posizioni di profonda retroguardia con richieste di azzeramento del pilastro ambientale della riforma.



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